Gli studi legali, con la loro facciata lucente, nascondono realtà drammatiche: retribuzioni basse, talvolta in nero, orari di lavoro estenuanti e avvocati al limite del burnout. Le aule di giustizia sono frequentemente afflitte da sessismo e da una competizione spietata. A Bologna, sede della più antica facoltà di Giurisprudenza del mondo, emerge un’immagine inquietante dell’avvocatura, segnata da precarietà, sfruttamento e disuguaglianze economiche e di potere.
“Era richiesto un lavoro full-time per mille euro al mese, in nero. Oltre alle mansioni legali, il mio capo mi inviava al bar per il caffè e in posta per pagare le multe dei suoi familiari. In un ambiente segnato da un clima di terrore, dove ogni piccolo errore comportava una sfuriata, non potevo mai rifiutare alcuna richiesta. Dopo un anno, ho deciso che non potevo più continuare”. Così racconta Giulia (nome di fantasia), una giovane avvocata civilista di 28 anni. La sua esperienza riflette quella di molti dei 4.483 avvocati e avvocate che operano a Bologna, tutti alle prese con una professione che dovrebbe essere sinonimo di giustizia, ma che spesso nasconde un volto ben diverso.