Lo storico Luciano Canfora racconta dell’evoluzione della storia e di ciò che possiamo imparare del passato.
In un momento in cui il corso della storia sta prendendo una piega che non si può prevedere è importante valutare ciò che è stato. Per fare ciò, le parole di uno storico come Luciano Canfora sono fondamentali. Canfora è autore di La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Vita di Lucrezio e La scopa di don Abbondio. Il moto violento della storia e molti altri. Nella sua intervista a Radioluiss si è concentrato non solo sull’evoluzione del corso della storia, ma anche su come apprenderla per sfruttarla al meglio nella vita.
D: Marx ha detto che la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Pensando anche allo stato attuale del nostro paese, cosa pensa di questa affermazione?
R: Tragedia e farsa si intrecciano nel senso che la parte farsesca è quella di governanti che non sono assolutamente all’altezza dei loro compiti. Mentre la tragedia sono le morti in mare di tanta gente che viene disperatamente a cercare un po’ di salvezza e viene o respinta o maltrattata. O a volta non ce la fa nemmeno ad arrivare da noi. Siamo in un momento storico terribile, nel quale la coscienza morale di sta offuscando. Non soltanto in chi governa senza alcuna morale, ma soprattutto nei cittadini che non percepiscono la gravità di quello che sta accadendo e scivolano, per così dire, in una sorta di egoismo. L’egoismo è la cosa peggiore nei rapporti umani. La fratellanza è una parola che ha radici remotissime.
Ma se vogliamo, sia le correnti religiose, sia le correnti laiche, la Rivoluzione francese ha usato questa parola addirittura nel suo motto, si incontrano su questo terreno. Allora perdere di vista questi due capisaldi è molto grave. Dopo di che, la mia fiducia nella capacità di ripresa è ferrea. Io non mi perdo mai d’animo, neanche quando vedo che la situazione è in salita, perché c’è sempre una possibilità. L’essenziale è parlare chiaro. Nell’incontro con l’altro si forma anche l’io. Nessuno di noi è una monade Leibniziana. Siamo tutti con finestre spalancate e impariamo dagli altri, anche quando non ce ne rendiamo conto. Per dire, la frequentazione di esseri umani, che vengono da civiltà lontanissime, con proprie categorie mentali, fa bene a tutti. Il mio disegno utopistico, al quale sono molto affezionato, è quello di un unico genere umano, come diceva un pensatore epicureo di nome Diogene. Non abbiamo molte notizie su di lui, ma abbiamo qualche opera, scritta sui muri della sua città. Evidentemente era un notabile e poteva farlo. E lì c’è scritto che la Terra è divisa apparentemente in nazioni, ma in realtà è un unico genere umano. Ed è un’unica casa di tutti. I pensieri di questo pensatore, magari non eccelso, ma molto schietto, mi hanno sempre molto colpito.
Il fatto che si richiami ad Epicuro, maestro di saggezza, me lo rende ancora più simpatico. Parlando invece di Seneca, dobbiamo dire che è il più moderno tra gli antichi. Egli infatti è l’unico che nel mondo classico ha posto la questione dell’uguaglianza tra il libero e lo schiavo. Questo ne fa un nostro interlocutore, non soltanto per la ragione etica, che l’uguaglianza deve abbattere le barriere giuridiche, come era nell’antichità la condizione schiavile. Ma perché la schiavitù, la dipendenza di un uomo dall’altro in forma subalterna, sta tornando drammaticamente nel nostro stile di vita nei luoghi e nelle forme più diverse. Basti pensare alla situazione semischiavile di tantissimi lavoratori nel vicino oriente, dove i nostri produttori di ricchezza trovano manodopera praticamente a costi infimi e a costi umani pazzeschi. Quella è una nuova schiavitù.
Ci sono gli schiavi in casa nostra, i raccoglitori di pomodori in Puglia o nel Lazio. Vivono nei ghetti. Poi c’è la prostituzione, che è una forma di schiavitù micidiale. Poi c’è la schiavitù della droga, cioè il fatto che delle canaglie abbiano la possibilità di incatenare tanta gente. Quel denaro che guadagnano poi viene riciclato anche in attività apparentemente pulite. Allora la schiavitù va condannata. Noi dobbiamo averne coscienza e cercare di capire come uscirne, richiamandoci anche a questi giganti del passato che per primi hanno sollevato la questione.
D: Da anni ormai i nostri giovani, noi comprese, non riusciamo a completare i programmi di storia. In questo modo cresciamo con una percezione del mondo e degli eventi parziale. Secondo lei come si può contrastare questa generale mancanza di conoscenza della storia?
R: Questo è un tema importantissimo che mi è capitato di sollevare più volte. E cioè bisogna studiare la storia del Novecento, tutta quanta. Anche perché il secolo è finito. Quindi, come in passato era ovvio studiare la storia anche recente, dopo l’Unità d’Italia si studiava la storia del Risorgimento italiano, praticamente dei fatti avvenuti pochi anni prima. Noi invece abbiamo questa assurdità per cui il passato recente lo si deve ignorare. Bisogna studiare la storia del Novecento. Bene, ma anche la letteratura del Novecento, anche l’arte, la filosofia, la scienza. Lo dico contro corrente, bisogna allungare il percorso di studi di almeno di un anno. Ciò viene considerato una cosa drammatica perché è un peso economico per la società. Io rispondo che la società deve preoccuparsi dell’istruzione più che di ogni altra cosa. Ritagliare nel bilancio dello stato ben altre porzioni nel comparto educazione. Siamo nel nostro paese in coda agli altri. Bisogna rassegnarsi all’idea che se si deve studiare seriamente e, soprattutto, creare dei cittadini consapevoli, la storia tutta nei suoi aspetti va studiata e studiata bene, con adeguasti strumenti.
D: Ha affermato che la filologia è la scienza del futuro, su cui i riformatori dovrebbero puntare anche per combattere la piaga delle fake news. Qual è, a suo parere, il testo classico per eccellenza, il testo che contiene domande tanto antiche quanto attuali?
R: Il testo classico che parla ai moderni in maniera durevole è il De Rerum Naturae di Lucrezio. Un testo in esametri molto complicato in alcune parte, in altre scorrevolissimo. Perché uno dei più grandi pensatori del Novecento, cioè Einstein, quando gli fu chiesto nel 1923 di scrivere un’introduzione alla traduzione tedesca del poema di Lucrezio, scrisse un paio di pagine molto essenziali. Egli dice che da una parte siamo in grado di comprendere che l’atomismo antico, Democrito, Epicuro, Lucrezio, è ingenuo rispetto alla nostra consapevolezza dell’identità energia-materia. La grandezza di Lucrezio e del suo testo sta nel fatto che egli parte dal presupposto che tutta la realtà è razionale e comprensibile. Quindi, ci dà la chiave fondamentale per comprendere non ci sono misteri inaccessibili, c’è soltanto lo sforzo di capire ciò che non abbiamo ancora capito. Questa è una lezione modernissima in un testo scritto più o meno al tempo di Cicerone.
A cura di B.P.