Non riusciamo a godere il presente perché siamo troppo impegnati a costruire il futuro perfetto.
“Cosa ti piacerebbe fare da grande?” È la domanda che viene posta a chiunque da quando ne ha memoria. Durante l’infanzia è divertente ascoltare le risposte più disparate perché tanto ‘tra poco lo scoprirà’; ma qualche anno dopo, durante la fase più complessa della vita di ogni essere umano, si è costretti a capire l’obiettivo al quale aspirare. Per alcuni è naturale, per altri arriva più tardi oppure non arriva mai. Ma chi è il fortunato?Ho sempre ammirato i sogni nel cassetto aperto: quelli che si urlano a voce alta, con la luce negli occhi, e che hanno un percorso definito da perseguire. Eppure non ho mai guardato l’altra faccia della medaglia: all’insoddisfazione che sorge negli animi di coloro che pur perseguendo con vivacità quel sogno, non lo raggiungono. Allora diventano tristi, si sentono inutili. Non trovano il loro posto nel mondo, si nutrono ogni giorno di inadeguatezza.Quindi ho creduto che i fortunati fossero solo coloro che avessero raggiunto il sogno: ancora una volta mi sbagliavo. Potrebbe accadere che il sogno tanto ambito in realtà non appartenesse al sognatore. Era solo nella sua testa. Era bello sognarlo, non realizzarlo. E dunque li inonderà la confusione e crederanno di aver perso solo anni della loro vita non solo a sognare ma anche a realizzare quell’obiettivo che pensavano fosse di vitale importanza.
Ma allora chi sono i veri fortunati? Gli inetti? Quelli che vivono alla giornata?
Si crede troppo spesso che fissare o meno uno scopo nella vita elimini le variabili che si immettono nel nostro cammino. Ci sentiamo forti, padroni del destino. E poi, tutto ad un tratto, accade qualcosa non previsto che ci blocca completamente. Vorremmo camminare ma abbiamo le suole di cemento; vorremmo urlare ma la nostra bocca è cucita. Ci dimentichiamo cosa significhi respirare. Impariamo ad ascoltare solo l’ansia che riposa, si sveglia, ci parla, si nasconde, ci confonde. È tanto invisibile quanto evidente. Viviamo ma il mondo è fermo ad osservarci, a giudicarci. Siamo semplicemente vivi, ma non è semplice. Il tempo che passa sembra aiutarci ma contemporaneamente ci inganna: ci convince che, come le ore, anche il dolore farà il suo corso; ma le delusioni, come le lancette, fanno un giro e proprio durante l’anniversario delle emozioni tornerà quel ricordo offuscato ma sufficiente a farci sentire vuoti.
La realtà è che credo sia proprio qui la categoria dei fortunati. Coloro che sanno accogliere il dolore e sono in grado di aggiungerlo al catalogo delle emozioni, parificando l’intensità del pianto alla forza di una risata, il vuoto straziante alla serenità avvolgente. Coloro che riescono ad associare la felicità alle piccole cose anche se momentanee, anche se non torneranno più. Coloro che sanno apprezzare il respiro.
Beatrice Avallone