Westminster potrebbe votare oggi un rinvio dell’uscita al 31 gennaio 2020. Boris Johnson chiede nuove elezioni, ma la maggioranza del parlamento ormai è contro di lui.
L’aria era tesa ieri pomeriggio fuori da Westminster. Già dal pomeriggio si radunavano gruppi di attivisti con striscioni, cappelli e drappi blu a stelle gialle. Si installavano i microfoni alle casse, si preparavano i cartelloni, e si riempiva a poco a poco la piazza di fronte al Parlamento, dove i parlamentari sarebbero presto tornati, di rientro dalla pausa estiva. E una sfida storica li attendeva: una lotta contro il tempo e contro il primo ministro Boris Johnson per fermare una Brexit senza accordo, a colpi di leggi e votazioni. La mossa che richiedeva un contrattacco era quella fatta negli scorsi giorni dal Primo Ministro Johnson, che aveva ottenuto la chiusura del Parlamento per cinque settimane fino al 14 ottobre, 17 giorni prima del D-day della Brexit. La risposta dei parlamentari poteva essere una legge che rendesse illegale un divorzio senza accordo (no-deal), ma il tempo è tiranno e varare una legge può richiedere settimane. Tempo che il Parlamento non ha.
Così ieri è successa un’altra cosa. Un colpo di mano di Westminster ha tolto a Boris Johnson il potere contrattuale su Brexit. Ora il Parlamento potrà richiedere una proroga direttamente all’Europa, senza passare per la mediazione del Primo Ministro. Il provvedimento è stato votato in aula dalla maggioranza dei parlamentari, dopo la defezione di 21 Conservatori che hanno compiuto il simbolico gesto di attraversare il corridoio che divide il partito di governo da quelli di opposizione. La prima votazione dell’attuale Premier alla camera dei Comuni, un ammutinamento e un fallimento con pochi precedenti. L’ultima volta che un primo ministro perse alla sua prima votazione in parlamento fu nel 1894, quando alla guida del governo c’era Lord Rosebery. Mentre nelle piazze scalpitavano manifestanti di entrambe le fazioni, nell’aula dei Comuni si scriveva un altro pezzo di storia. Boris Johnson ha perso la maggioranza, e la partita è ancora tutta da giocare.
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Nella scacchiera di Brexit nessuna mossa è scontata. È una partita giocata sulla furbizia e sui cavilli legislativi. Da ieri sera Boris Johnson guida un governo che non ha la maggioranza in Parlamento, e per recuperarla ha bisogno di nuove elezioni. Il Primo Ministro ha proposto di tornare al voto il 15 ottobre, ma in base al Fixed Term Parliament Act (FTPA) per andare a elezioni anticipate serve una maggioranza di 2/3 dei parlamentari, numero che Johnson non otterrà. I laburisti guidati da Jeremy Corbyn, che fino ad ora hanno sempre chiesto le elezioni, hanno già detto che non sosterranno un voto prima dell’approvazione della legge che vieta una Brexit no-deal. Boris Johnson starebbe quindi pensando a un’ulteriore mossa, cioè far approvare una nuova legge che modifichi il FTPA e che tolga quindi il vincolo dei due terzi. Per far approvare tale legge a Johnson basterebbe una semplice maggioranza. Risultato, questo, molto più plausibile, come spiega la prima pagina del The Daily Telegraph di oggi: “Il ‘Piano B’ [di Boris Johnson] sarebbe quasi certamente un successo, dal momento che il Partito Nazionale Scozzese ha detto di volere un’elezione anticipata, descrivendola come una ‘fantastica opportunità’ per richiedere un secondo referendum sull’indipendenza”.
La legge votata ieri sera, intanto, dà al Parlamento la possibilità di votare oggi per un rinvio dell’uscita al 31 gennaio 2020. Se l’Europa dovesse proporre una data più in là nel tempo, però, sempre secondo il provvedimento votato ieri, Johnson sarebbe costretto ad accettare qualunque scadenza. A meno che, ovviamente, non si trovi un nuovo accordo con Bruxelles che venga approvato da Westminster. Gli opinionisti che sostengono il governo ritengono che questo colpo di mano dei parlamentari consegni le redini delle trattative in mano all’Europa, togliendo ogni forma di controllo al Regno Unito. Chiave di lettura condivisa anche dall’inquilino di Downing Street, che ha definito il voto di ieri come “il gesto di resa di Jeremy Corbyn – equivalente ad alzare bandiera bianca”. Il provvedimento entrerà in vigore oggi, quando l’ora inglese scoccherà le tre del pomeriggio. A quel punto i Comuni voteranno per un rinvio di Brexit. “Io non voglio un’elezione, ma se i parlamentari voteranno domani [oggi] per fermare i negoziati e chiedere un altro rinvio senza senso di Brexit, potenzialmente per anni, l’elezione sarà l’unico modo per risolvere la questione”, ha detto ieri Boris Johnson. Lo psicodramma Brexit continua, e questa partita a scacchi riserva ancora qualche sorpresa. Intanto a Londra si scrive la storia della più antica democrazia d’Europa.
Dell’inviata A.C.