Era nascosto in una specie di bunker, nell’hinterland di Milano, Paolo Vincenzo Malvini, il 55enne al centro dell’inchiesta della Guardia di finanza di Asti sulla truffa da venti milioni di euro sui fondi Covid che nelle scorse settimane ha portato a dieci arresti.
Latitante da un mese, viveva in un seminterrato, a cui si poteva accedere da una sauna attraverso un meccanismo abilmente occultato e azionabile solo dall’interno.
Nel piccolo locale, circa 10 metri quadrati, l’uomo aveva allestito anche una sorta di laboratorio per la produzione di documenti di identità e fideiussioni false. Arrestato e condotto nel carcere di Asti, gli inquirenti lo considerano il “direttore” e il “regista” di un vera e propria associazione per delinquere. Un uomo che, come annota quasi con ammirazione il tribunale astigiano nel decreto di sequestro preventivo, può vantare “indiscutibili doti di falsario”.
Attraverso un meccanismo complicato, ingegnoso e insidioso, fatto di documenti falsi, persone inesistenti, società create ad hoc e bilanci gonfiati, la banda è accusata di avere ottenuto prestiti e finanziamenti come Fondo di garanzia Covid e di truffare per 20 milioni la società dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti sull’acquisto di una grossa partita di mascherine.