La polizia di Foggia ha eseguito 11 misure cautelari emesse dal GIP del capoluogo dauno a carico di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti e di detenzione e porto di arma clandestina nonché ricettazione.
Il blitz sta interessano i territorio di San Severo (Foggia), San Giacomo degli Schiavoni (Campobasso), San Salvo e Casalbordino (Chieti).
Il blitz è stato chiamato convenzionalmente “Coffee Shop” dalla presenza di un locale dove i consumatori potevano direttamente far uso della sostanza stupefacente appena acquistata. Degli 11 indagati sei sono in carcere e cinque ai domiciliari con le accuse di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione e porto di armi clandestine. Gli investigatori hanno accertato un fiorente giro di spaccio di sostanze stupefacenti nel quartiere San Bernardino, il quartiere ad alta densità delinquenziale di San Severo. Nel corso delle indagini, partite a settembre 2020 e concluse a gennaio del 2021 i poliziotti hanno sequestrato oltre 3 chili e mezzo di cocaina ed oltre un chilo di eroina più alcuni chili di droghe leggere tra marijuana ed hashish. Sequestrati inoltre un kalashnikov e pistole calibro 7,65 con matricole abrase. “Quando gli acquirenti venivano fermati dalla polizia e veniva sequestrato loro la sostanza stupefacente – hanno raccontato in conferenza gli inquirenti – i clienti tornavano dal pusher e mostravano il verbale di sequestro. A quel punto il venditore gli restituiva la stessa quantità di stupefacente acquistata”. A quanto si apprende alcuni degli arrestati giungevano a San Severo dalle vicine regioni di Abruzzo e Molise, in particolar modo da San Salvo e Casalbordino (Chieti) ma anche San San Giacomo degli Schiavoni (Campobasso) per rifornirsi di droga da rivendere poi nei propri territori di appartenenza. Quando questa mattina gli agenti hanno eseguito le ordinanze hanno anche scoperto un vero e proprio laboratorio dove veniva tagliata e confezionata la sostanza stupefacente. Il laboratorio si trovava all’interno di una casa popolare ed era protetto da un sistema di telecamere di videosorveglianza.