Il mio nome è Khan (voto 6)

Il cinema commerciale indiano, quello sfornata dalla cosiddetta Bollywood, è una realtà che si è imposta all’intero mercato asiatico e che, da qualche tempo, inizia a guardare anche a occidente. Il mio nome è Khan, regia del giovane autore di successo Karan Johar, è un esempio di questa tendenza ad affrontare temi appetibili anche per lo spettatore non asiatico, mantenendo una fedeltà sostanziale allo stile e alla concezione narrativa tipica del paese d’origine. Il tema è quello delle assurde persecuzioni cui furono sottoposti i mussulmani d’America dopo l’attentato alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. Un’ondata d’isteria collettiva che, similmente a quanto avvenne nel 1940 dopo l’aggressione giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 nei confronti dei giapponesi, travolse, emarginò e portò in orride prigioni centinaia d’innocenti colpevoli solo di appartenere alla stessa religione attribuita agli attentatori. Uno di questi è Rizvan Khan, un indiano affetto dalla Sindrome di Asperger, una particolare forma di autismo, che vive a San Francisco vendendo cosmetici. D’indole buonissima, sposa una bella connazionale di religione hindu dando il cognome al figlio che questa ha avuto da un precedente compagno e sarà questa la causa dell’uccisione del ragazzo. A questo punto il menomato promette alla moglie di arrivare sino al presidente degli Stati Uniti per dirgli: Il mio nome è Khan e non sono un terrorista. Dopo varie vicende ci riuscirà e il film si chiede con un finale buonista e riconciliatorio in cui ha un ruolo fondamentale in presidente nero Barack Hussein Obama. Nel film s’intrecciano, assieme a balletti e canti, alcuni temi tipici del cinema americano come quello dell’ingenuo, straordinariamente dotato in una qualche materia (qui il protagonista sa aggiustare quasi tutti i marchingegni rotti che li capitano per le mani), che parte dagli uomini semplici dei film di Frank Capra per arrivare sino al Forrest Gump (1994) di Robert Zemeckis passando per il malato di autismo di Rain Man – L´uomo della pioggia (Rain Man, 1988) di Barry Levinson. E´ un film astuto e ben costruito adatto a qualsiasi palato, anche a quello degli spettatori meno ingenui.
(umberto@uerre.it)
 

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