Nato a Lumeville, sulla Mosa, nel’agosto 1902 e morto a Cluses nel novembre 1985, Fernand Braudel è stato uno dei grandi maestri e modelli della ricerca storica e storiografica, fra i principali esponenti della Ecole des Annales che raccoglieva il più prestigioso gruppo di storici francesi del XX secolo, e deve il nome alla celebre rivista culturale “Annales d’Histoire Economique et Sociale” fondata nel 1929 da Lucien Febvre (1878-1956) e Marc Bloch (1886-1944), oggi edita come “Annales, Histoire et Science Sociale”.
La Ecole des Annales
Noto semplicemente come “Les Annales”, è il gruppo di storici francesi divenuto celebre per avere introdotto rilevanti innovazioni nella metodologia degli studi di ricerca storiografica, con la corrente definita “Nouvelle Histoire”.
I maggiori esponenti della scuola Les Annales sono Lucien Febvre e March Bloch, ai quali si unisce Henrì Pirenne (1862-1935), esperto di Storia dell’Economia, fra i primi a sostenere la teoria secondo cui l’analisi storiografica deve essere comparata, cioè interdipendente, per mettere a confronto i diversi aspetti del sapere e dell’umano agire, che si esprimono nelle discipline umanistiche e scientifiche.
L’innovazione introdotta da Bloch e Febvre è soprattutto lo spostamento dell’attenzione degli studi dalla “storia degli eventi” alla “storia delle strutture degli avvenimenti”, oltre alla tecnica della ricerca svolta in parallelo a filosofia, sociologia, economia, geografia, diplomazia e altro ancora. Secondo questo concetto, Bloch e Febbre collaborano con altri studiosi all’Università di Strasburgo, adottandone spesso i metodi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale l’attività della Ecole des Annales è notevolmente ridotta, ma nel dopoguerra il gruppo di studio ottiene la prestigiosa assegnazione della VIa Sezione della “Ecole Pratique des Hautes Etudes” di Parigi, presieduta da Lucien Febvre fino alla morte, nel 1956, quindi da Fernand Braudel, François Furet (scomparso nel 1977) e attualmente da Jacques Le Goff.
Influenze culturali di Braudel
La storia della civiltà umana e non la storia degli avvenimenti. E´ il principio dell’indagine secondo Fernand Braudel, figlio di un insegnante di Storia Antica, che fin dalla giovane età ben comprende quale fosse il peso della Storia, specialmente a causa delle vicende della Grande Guerra che si svolgono nella sua terra natale.
Fernand Braudel studia a Parigi dal 1909 e termina i corsi con un profitto e una tempistica eccezionali, ottenendo diploma, abilitazione e, a soli 21 anni, il titolo di “Professore”. Insegna in Algeria, a Costantina, quindi ad Algeri e, dal 1932 al ’35 all’Istituto Pasteur, al Condorcet e alla Ecole Henry IV di Parigi, prima di essere chiamato a far parte della missione culturale francese a S.Paolo del Brasile, per poi esercitare a Magonza e Lubecca. Nel 1937 entra alla Ecole Pratique des Hautes Etudes come Direttore della Sezione Filosofia della Storia, insieme a Lucine Febvre, che avrà una decisiva influenza sulla metodologia della ricerca, insieme alle teorie di Paul Vidal de la Brache. Durante la Seconda Guerra Mondiale presta servizio nell’esercito francese, ma all’atto dell’invasione tedesca è catturato e, dal 1940 al ’45, è prigioniero in Germania.
Nella tesi “Il Mediterraneo e il mondo mediterraneo all’epoca di Filippo II”, discussa nel 1947 con Lucine Febvre come relatore e pubblicata due anni dopo, si evince il principio base e innovatore che costituisce il motore della ricerca storiografica secondo Braudel e, non a caso, ancora oggi considerata un’opera fondamentale. Nel 1950 è chiamato a succedere alo stesso Febvre al Collège de France, dove rimane fino al 1973, scrivendo opere di importanza universale come “L’identità della Francia”, “Scritti sulla Storia”, e la monumentale “Civiltà materiale, economia e capitalismo dal XV al XVIII secolo”, pubblicata nel 1960.
Braudel contribuisce al rinnovamento della ricerca storiografica come cattedratico al College de France, aumentando il numero dei docenti e contribuendo all´istituzione di un Centre de Recherches Historiques (1949, oggi noto come EHESS), di un laboratorio cartografico, un centro di matematica sociale, di sociologia rurale, di studi africani e cinesi e altri ancora. Sempre nel 1956, dopo la morte di Lucien Febvre, assume la direzione della rivista Annales che, con la VIa Sezione, diventa il punto di incontro di storici e ricercatori di tutto il mondo. Per coronare la poderosa opera di ricercatore, nel 1962 Braudel fonda, con il patrocinio della Fondazione Rockfeller, la Maison des Sciences de l´Homme, istituto che, attraverso incontri periodici fra specialisti delle varie discipline sociali, realizza una riuscita integrazione fra storiografia e scienze. Poco prima della morte, avvenuta a Parigi il 28 novembre 1985, Braudel è accolto fra i grandi studiosi della Académie Française, e dottore Honoris Causa a Oxford, Bruxelles, Cambridge, Padova, e in diversi altri atenei del mondo.
Il metodo della Storiografia comparata
I canoni fondamentali dell’innovazione di Braudel si articolano in “modello”, “struttura” e “durata”, ovvero: “interpretazione soggettiva della realtà”, “considerazione dell’elemento Tempo come sfondo degli avvenimenti”, e infine “durata della struttura sociale che resiste alle sollecitazioni della Storia”. Inoltre, l’elemento “Tempo” è da considerare nella sua divisione in tre parti come “Storia immobile” le cui variazioni sono impercettibili, relativamente alle relazioni fra uomo e ambiente; “Storia dinamica”, sul piano sociale, riguardante la componente “uomo”; e “Storia effettiva” come svolgimento di grandi cambiamenti. Lo stesso elemento “Tempo”, inoltre, è sostanzialmente da distinguere dalla “durata”. Se il primo è un concetto astratto, la seconda (che sia a breve, medio o lungo termine) è il contenitore degli eventi e delle strutture. Il fenomeno del cambiamento segue cioè ritmi diversi, per cui esige una nuova regola di “temporizzazione” che raccolga la apparente linearità e continuità della storia.
Braudel predilige quindi il dettaglio descrittivo piuttosto che la ricostruzione teoretica, considerando l’economia come elemento fondamentale dello svolgersi degli eventi, usando i dati statistici come illustrazione piuttosto che come strumento di analisi. Tutto ciò in aperto contrasto con la storia politico-diplomatica e utilizzando gli apporti offerti da tutte le altre scienze umane.
La Scuola di Bloch e Febvre
Marc Leopold Benjamin Bloch (1886-1944) è celebre soprattutto per le ricerche storiografiche sul periodo medievale, nell’ambito del gruppo “Annales”. Il padre, Gustav, era professore di Storia Antica e il giovane Marc è avviato agli studi presso la Ecole Normale Superieure e la Fondation Thiers, prima a Parigi, quindi a Berlino e Lipsia. Combatte come ufficiale di fanteria nella Grande Guerra, è decorato con la Legion d’Onore e dopo il conflitto, insegna a Strasburgo, dove conosce Lucien Febbre, con il quale fonda la rivista “Annales d’Histoire Economique et Sociale” (pubblicata ancora oggi come “Annales, Economie, Societés et Civilisation”), prestigiosa vetrina culturale che espone i risultati delle ricerche storiografiche.
Oltre che di Feudalesimo, Bloch è considerato uno dei massimi esperti e maestri del metodo di indagine comparata della storia della civiltà, del pensiero (Filosofia della Storia) e della Storia in senso antropologico, unitamente a Economia, Sociologia ed Etica. Per la grande esperienza e serietà, nel 1936 Bloch è chiamato alla cattedra di Storia Economica alla Sorbonne di Parigi, fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, durante il quale serve la Francia come capitano e, successivamente, in seguito all’invasione tedesca, entra nella Resistenza nella zona di Lione.
Bloch critica ferocemente la classe borghese francese (“La Strana Disfatta”, 1940), colpevole di aver contribuito in maniera determinante alla sconfitta, e di aver stretto una scellerata alleanza con il nazifascismo; inoltre le sue origini ebraiche lo rendevano inviso ad un regime che si era allineato alle leggi razziali italiane e tedesche. Per la sua grande fama, il governo di Vichy inizialmente non lo allontana dall´insegnamento ma lo trasferisce in un ateneo meno celebre. La sua biblioteca privata a Parigi, ricca di rari e antichi volumi, viene depredata dalle SS e oggi, purtroppo, in buona parte è andata dispersa. Dopo alcuni mesi di prigionia (durante il quale è anche torturato), March Bloch muore fucilato dalla Gestapo a Lione (territorio amministrato dal tristemente famoso Klaus Barbie, detto appunto “il boia di Lione”), in seguito all’occupazione tedesca della Zona Libera (territorio di Vichy) per aver militato nella Resistenza. Di lui rimangono opere fondamentali, prima fra tutte la incompiuta “Apologia della Storia – o Del Mestiere di Storico” dedicata all’amico Febvre, che insieme a “Che cosa è la Storia?”, di Edward Carr, è ancora oggi unanimemente considerata basilare, senza dimenticare “I Re Taumaturghi”, “Lineamenti della Storia Monetaria d’Europa”, “Riflessioni di uno storico sulle false notizie di guerra” e “Metodologia Storica”.
Anche Lucien Febvre (1878-1956) compie i primi studi alla Ecole Normale Superieure (1899-1902) e consegue il Dottorato in Storia nel 1911 con una tesi su “Filippo II e la Contea Franca”, che gli apre la strada alla cattedra presso l’ateneo di Digione. Come Bloch combatte nella Prima Guerra Mondiale e nel 1919 arriva anch’egli a Strasburgo dove, con la già citata rivista, è co-fondatore della “Scuola degli Annalisti”. Nel 1933 Febvre ottiene la cattedra al College de France e pubblica numerosi saggi, interrotti dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo la tragica morte di Bloch, Lucien Febvre ne raccoglie l’eredità culturale alla guida della Ecole des Annales dove, oltre a Braudel, figurano grandi nomi di fama mondiale. Fra questi, Georges Duby (1919-1996), esperto medievalista, Professore nel 1942 con dottorato alla Sorbonne, cattedratico di Storia Medievale ad Aix-en-Provence, di Storia Sociale del Medioevo al College de France, Accademico di Francia. Vi è poi François Furet (1927-1997), iscritto al Partito Comunista Francese dal 1949 dal quale si dissocia nel ’56 in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria, pur rimanendo politicamente nella galassia socialista. Dottore in Storia nel 1954, giornalista del “Nouvel Observateur”, membro del Centre National de la Recherche Scientifique, direttore dell’Istituto Raymond Aron, docente a Chicago e Harvard, Furet lega la propria fama alle critiche alla storiografia e le considerazioni politiche del Marxismo circa la Rivoluzione Francese, propugnate soprattutto da Albert Soboul (1914-1982). Secondo Furet, la Rivoluzione non sarebbe stata il prodotto di lotte di classe o del contrasto fra aristocrazia, borghesia e popolo-proletariato, ma lotta unitaria per il predominio di quegli ideali liberali e democratici che non sarebbero stati soffocati neanche dall’impero napoleonico, e tornati in auge nel 1830, 1848 e 1871. Sostanzialmente, la Rivoluzione Francese vista in chiave profetica e sintesi degli avvenimenti dei due secoli successivi.
Oltre a Maurice Aymard (n.1936) ed Emmanuel Roy Ladurie (classe 1929), da non dimenticare Roland Barthes (1915-1980), saggista e critico letterario il cui principio ispiratore è lo strutturalismo. Studia all’Ecole Montaigne di Parigi e prende l’indirizzo filosofico al liceo Louis le Grand, quindi è alla Sorbona dove fonda il Gruppo del Teatro Antico. Viaggia in Ungheria, Grecia, quindi insegna a Biarritz fino al 1940, poi è Professore ai licei Voltaire e Carnot di Parigi. Durante la convalescenza forzata, nel 1943, dovuta ad un peggioramento della tubercolosi, Barthes consegue una seconda laurea in Filologia e Grammatica, ma due anni dopo un improvviso peggioramento dovuto ad un pneumotorace lo costringe ad un soggiorno a Lesyn, presso il sanatorio Alexandre. Nel 1948 è a Bucarest come Professore di Francese, poi all’università di Alessandria d’Egitto dove rimane fino al 1950, quindi alla Direzione Generale delle Relazioni Culturali. Dal 1952 al 1954 svolge attività di ricercatore in Lessicologia al CNRS, quindi è consulente letterario alle Èditions de l´Arche. Nel 1960 diventa responsabile di ricerca alla VI sezione dell´Ècole pratique des Hautes Ètudes, Scienze Economiche e Sociali e fino al 1962 è direttore di studi.
Nel 1976 accetta la cattedra di Semiologia Letteraria al Collège de France e collabora a numerosi periodici tra i quali “Esprit e Tel Quel”. Muore nel marzo 1980, in seguito a complicazioni delle ferite riportate in un incidente stradale.
Roland Barthes ha scritto e pubblicato numerosi saggi critici di particolare acutezza sugli scrittori classici e contemporanei, con particolare attenzione alle linee di sviluppo della recente narrativa, indicando nel cosidetto “grado zero”, cioè nella lingua parlata, la più importante peculiarità.
Si è dedicato inoltre allo studio delle relazioni esistenti tra miti e feticci della realtà contemporanea e le istituzioni sociali, ha studiato il rapporto di incontro-scontro tra la lingua intesa come patrimonio collettivo e il linguaggio individuale, sviluppando una teoria semiologica che prende in considerazione le grandi unità di significato. Il criterio da lui proposto oltrepassa la tesi accademico-filologica e si pone come una continua e sollecita interrogazione del testo.
La Storiografia oggi: Jacques le Goff e la Agiografia
Attualmente considerato forse il maggiore esperto di Storia e Sociologia Medievale, Jacques Le Goff (nato nel gennaio 1924) è docente negli atenei di Lilla e Parigi, e dal 1962 dirige la Ecole Pratique des Hautes Edutes. Autore di numerosi e importantissimi saggi critici, fra cui “Gli intellettuali nel Medioevo” (1957), “La civiltà dell’Occidente medievale” (1969), “Mercanti e banchieri del Medioevo” (1976), “Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale” (1983), ha collaborato alla stesura della “Storia d’Italia” pubblicata da Einaudi ed è stato curatore dei volumi “La Nuova Storia” (1980) per Mondadori.
Il principale metodo di ricerca storiografica utilizzata da Jacques Le Goff è la “Agiografia”, cioè l’utilizzo di un vasto complesso di documentazioni e testimonianze (iconografie, monumenti, epigrafi, testi scritti) di approvazione o dissenso, del popolo o delle istituzioni, che favoriscono l’analisi e la comprensione, contribuendo a formare un quadro completo di un personaggio o di un fatto storico.
La teoria del “Grande Uomo”
La teoria secondo cui la storia è l’effetto delle decisioni e delle azioni dei grandi uomini è concettualmente opposta alla storiografia della “Ecole des Annales”, e fa riferimento allo storico britannico Thomas Carlyle (1795-1881). L’evolversi degli eventi è il prodotto del carismal,l dell’intelligenza e della saggezza di grandi personaggi, che hanno usato e usano il proprio potere per lasciare una decisiva impronta storica. In poche parole, secondo Carlyle, “la storia del mondo altro non è che la biografia dei grandi uomini”, come afferma nell’opera “On heroes, hero-Worship and heroic in history”, propugnando il concetto secondo il quale lo studio delle grandi figure eroiche è lo stimolo che porta alla scoperta del lato eroico di ciascun individuo.
Un metodo di ricerca piuttosto diffuso nel 19° secolo, secondo la scuola di pensiero della “Enclyclopaedia Britannica – Eleventh Edition” pubblicata nel 1911, che infatti comprende molte biografie di grandi figure ma poche annotazioni di eventi sociali a livello più esteso.
Com’è immaginabile, la storia svolta secondo il concetto del “Grande Uomo”, è stata sostenuta a gran voce da Oswald Spengler (1880-1936), George Friedrich Hegel (1770-1831), e Frederich Nietzche (1844-1900), ma dopo la Seconda Guerra Mondiale ha perso significato a vantaggio della scuola rappresentata da Bloch, Febvre e Braudel, e fin dalla diffusione della teoria evoluzionistica del filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903), che attribuisce gli eventi storici a tutti gli uomini in quanto prodotti del tessuto sociale, come afferma anche la “Enciclopedie Française”, quasi totalmente priva di biografie.
Oggi, la teoria del “Grande Uomo” non ha molti seguaci, dal momento che è ampiamente dimostrato come il genere umano in quanto tale è espressione dei mutamenti storici nei quali contribuiscono numerosi fattori, più importanti dell’azione di singoli grandi uomini. Molti storici pensano infatti che una storia incentrata solo su singole persone, specie quando la loro importanza è connessa principalmente alla condizione sociale, rappresenti una visione restrittiva della storia, che può non considerare gli interi gruppi sociali quali protagonisti.