A sentire molti, se negli ultimi anni le società di Serie A ci hanno regalato sempre meno colpi di mercato, il motivo risiede in alcuni problemi strutturali dello stesso calcio italiano. E a pagarne dazio sono, soprattutto, i giovani. E' così che stanno veramente le cose? La nostra redazione ha chiesto un parere in merito all'agente FIFA Edoardo Giusti, titolare dell'agenzia GGXX-USM Italy.
Il presidente del CONI Petrucci ha detto che il nostro calcio è arrivato “ad un punto di non ritorno”…
“Sono assolutamente d'accordo, anche se è una frase molto generale ed è facile pronunciarla sull'onda di certi avvenimenti. Se l'Italia negli anni '80-90 era un punto di riferimento, da quando sono nel mondo del calcio, ovvero nell'ultimo decennio, c'è stata decadenza importante che ha fatto sorpassare quella italiana da altre realtà europee. Il ciò è dovuto alla mancanza di cultura della classe dirigente, di meritocrazia e di equilibrio nel giudizio. Ci troviamo in una situazione disarmante. Il calcio italiano sta perdendo competitività soprattutto nella fase medio-bassa; basta guardare i risultati ottenuti in Europa League: l'Italia è dietro a paesi come Belgio e Olanda. Ad alti livelli, l'unico progetto degno di questo nome è quello del Napoli, De Laurentiis ha capito come va organizzato un club di calcio. Il Milan ha in Adriano Galliani una persona di grande cultura che ha fatto grandissime cose, mentre il progetto Roma può essere diverso a parole ma nei fatti…”.
Come si può uscire da questo buio tunnel senza fine?
“Bisogna partire dalla base. La politica del calcio deve attuare riforme drastiche ma necessarie, strutturali. La prima cosa da fare è eliminare la Lega Pro e creare una lega di sviluppo con squadre B dei club di massima serie, senza promozioni e retrocessioni, dove possono giocare calciatori che escono da settori giovanili e le riserve. La seconda cosa deve partire dai presidenti: ogni singola società deve capire che non è il passato di un elemento ma le competenze a stabilire i meriti. Ci vuole cambio di mentalità, bisogna iniziare a scegliere persone preparate e a puntare su di loro. Un appello ai direttori sportivi: non devono legarsi ai procuratori, altrimenti il ruolo di agente non ha più senso di esistere e vengono a cadere tutti i presupposti meritocratici. Il grandissimo paradosso è che l'uomo mercato più indipendente del calcio italiano è stato Luciano Moggi. Da giovane addetto ai lavoratori Moggi mi era stato demonizzato, ma dopo i fatti di Calciopoli l'ho rivalutato molto. L'ex direttore generale della Juve ha commesso errori di onnipotenza, ma la sua indipendenza intellettuale è quella a cui tutti dovrebbero puntare”.
Qual è invece la situazione del mercato italiano?
“Il primo dato che balza all'occhio è la mancanza di liquidità dovuta ad una congiuntura economica negativa. Ma quando non ci sono i soldi, ci devono essere le idee. Vedo società incaponirsi sul mercato sudamericano: super inflazionato e dove arrivano tutti. Inoltre il potere d'acquisto delle società italiane è inferiore rispetto a quello di club esteri con fatturati elevati dovuti ad una gestione manageriale. C'è anche un discorso di appeal. Il calciatore straniero, ormai, non vede più l'Italia come un campionato di prima fascia, ma lo mette in fila dietro a Inghilterra, Spagna, Germania e Italia. Così diventa più complicato imbastire operazioni importanti. Poi a questo bisogna aggiungere altri due fattori: l'incompetenza e il seguire le mode”.
Raccontaci qualcosa della GGXX-USM Italy…
“Siamo nati nel 2006 con una forte impronta di internazionalità per scelta. Avevamo capito quale sarebbe stato il trend generale del mercato italiano, adesso stiamo cominciando a raccogliere i frutti di questo lavoro e filosofia. A nostro avviso, oltre alla competenza, un'agenzia deve avere contatti, relazioni, un'apertura consolidata verso l'estero perché il mercato è globale. Il calciatore italiano di qualunque livello deve comunque avere un ventaglio di opportunità di sviluppare la propria carriera in contesti diversi da quello italiano. Ciò non significa che noi porteremo all'estero tutti i nostri assistiti, però se prima si aveva un certo numero di società con cui sviluppare proposte ora questo numero è aumentato”.
Cos'è il 'Live Scouting'?
“Premetto che, come agenzia, sviluppiamo un lavoro di management e di scouting. Per quanto concerne lo scouting, abbiamo creato e testato negli anni una metodologia completamente nuova e diversa, al servizio nostro e dei club che vogliono beneficiarne. Una metodologia incrociata fra valutazione tecnica del giocatore, dati statistici e parametri che danno un quadro generale del valore e dell'adattabilità di un giocatore. Incrociando questi elementi vengono fuori risultati sensazionali. Oggi il valore tecnico di un calciatore è determinato dal nome dalla squadra in cui milita, meramente dai gol che segna: bisogna andare dentro a queste statistiche. Per esempio, se si valuta molto bravo un attaccante perché fa venti gol in una stagione, ma questi li ha segnati in 6-7 partite e in situazioni particolari, allora i venti gol hanno un peso diverso. Al contrario, l'attaccante che ha segnato sette gol tutti in partite decisive, allora il valore delle reti aumenta. Si tratta di un metodo complesso, il concetto è andare al di là dell'apparenza”.
Ad un giovane italiano arrivano due offerte: una da un club di media fascia italiana e l'altra da un club estero dello stesso livello. Quale dovrebbe accettare secondo te?
“Non ho dubbi: alla luce di quello che ho detto prima, la Premier League, Bundesliga, Liga – in maniera inferiore – sono soluzioni preferibili. Anzitutto per un fatto meramente economico, che ha comunque la sua incidenza. Un ragazzo all'estero percepisce uno stipendio decuplicato rispetto a quanto percepirebbe in Italia. Poi per un fatto di cultura e di strutture, fantastiche nelle 'Academy' inglesi. Il tuo percorso scolastico viene curato direttamente dai club, impari una lingua nuova, ti sai destreggiare meglio: tutte situazioni favorevoli per il prosieguo della tua carriera. Si deve essere prima uomini che calciatori. Ma l'aspetto più importante è quello tecnico. In queste realtà europee lanciano i giovani, mentre l'Italia è l'ultimo paese come giovani lanciati in prima squadra. Sono dati sotto gli occhi di tutti, un giovane ha più possibilità di esordire in contesti diversi da quello italiano. L'esempio di Jacopo Sala è lampante: dagli Allievi dell'Atalanta si è trasferito al Chelsea e ora milita nell'Amburgo. Non dobbiamo più pensare ai paesi citati come estero ma come Europa, sono realtà più sviluppate dall'Italia e i nostri giovani devono fare queste esperienze. Noi lavoriamo anche per questo: un nostro assistito ha un ventaglio di possibilità e una visibilità molto più ampia. Per un giovane italiano costretto ad andare in Lega Pro, sarebbe molto meglio una massima serie estera in paesi come Svizzera, Grecia, Belgio o Portogallo. L'esempio di Stefano Napoleoni è emblematico”.